Sei separato o divorziato e ti trovi a discutere sulle spese straordinarie per i figli? Ti è mai capitato di pensare: "Visto che lei non paga la sua parte, le scalo i soldi dall'assegno di divorzio"? È una reazione comprensibile, ma legalmente molto rischiosa. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (la n. 19670/2025) ha fatto chiarezza proprio su questo punto, spiegando perché queste due cose non vanno mai confuse. Vediamo insieme cosa ha stabilito e cosa possiamo imparare. Un ex marito ha fatto ricorso in tribunale chiedendo di ridurre drasticamente l'assegno divorzile della ex moglie, da 1.500 a 250 euro. Una delle sue motivazioni principali era che la donna non pagava la sua quota (il 30%) delle spese straordinarie per il figlio. La sua logica: Se non rispetti un obbligo economico, perdi il diritto a riceverne un altro. La risposta della Cassazione: Sbagliato. La Corte ha spiegato un principio fondamentale: L'assegno divorzile serve a sostenere il coniuge economicamente più debole, riequilibrando la sua situazione dopo il matrimonio. L'obbligo di contribuire alle spese straordinarie per i figli è un dovere genitoriale distinto. Se un genitore non paga la sua parte delle spese, sta commettendo un inadempimento a un ordine del giudice. La strada giusta non è "farsi giustizia da soli" tagliando l'assegno, ma agire legalmente per recuperare quelle somme. Confondere i due piani è un errore che può ritorcersi contro. Qui la storia si fa interessante. Sebbene abbia perso sul punto delle spese straordinarie, l'ex marito ha vinto su un altro fronte. La Corte d'Appello lo aveva condannato dicendo che non aveva "contestato" in modo specifico il diritto della moglie a un assegno così alto. La Cassazione, invece, gli ha dato ragione. L'uomo aveva sempre sostenuto che l'assegno non doveva avere una funzione "compensativa". Questo tipo di funzione serve a ripagare il coniuge (di solito la moglie) per aver sacrificato la propria carriera per dedicarsi alla famiglia. Nel loro caso, però, entrambi i coniugi avevano sempre lavorato a tempo pieno, ciascuno nella propria professione. Non c'era stato alcun sacrificio di carriera da compensare. Contestando questo punto in modo specifico, l'uomo aveva fatto il suo dovere in tribunale. Sarà ora la Corte d'Appello a dover rivalutare l'importo dell'assegno tenendo conto di questo fatto. Un'ultima lamentela del marito è stata respinta: quella secondo cui la ex moglie (un'infermiera a tempo pieno) non si era "attivata" per migliorare la sua situazione economica. La Cassazione ha chiarito che, se una persona lavora già a tempo pieno nella sua professione storica, non le si può chiedere uno "sforzo ulteriore" solo per ridurre l'assegno dell'ex. Non confondere mai assegno divorzile e spese per i figli. Sono due obblighi distinti. Se l'ex non paga le spese straordinarie, avvia un'azione legale per inadempimento, non tagliare l'assegno. In tribunale, sii specifico. Se non sei d'accordo su qualcosa, devi contestarlo punto per punto ("principio di non contestazione"). Il silenzio può essere interpretato come un'ammissione. L'assegno "compensativo" non è automatico. Va dimostrato che un coniuge ha effettivamente rinunciato a opportunità di carriera a vantaggio della famiglia. Lavorare basta. Chi già lavora a tempo pieno nella sua professione non è obbligato a cercare un lavoro extra o più redditizio per sgravare l'ex coniuge. Il Caso: Assegno da 1.500€ e spese non pagate
Assegno divorzile e spese straordinarie: due binari separati
La funzione dell'assegno: non solo assistenza, ma anche compensazione
Devo per forza cercare un lavoro migliore?
In conclusione, in ragione di questa sentenza, ecco quali sono le regole da seguire