La gestione dei procedimenti disciplinari è un percorso a ostacoli, dove la forma e la sostanza hanno la stessa importanza. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (la nr. 26003/2025 del 24/09/2025) è un perfetto esempio di come questi due aspetti si intreccino, offrendo spunti fondamentali per lavoratori e aziende. La decisione ruota attorno a due principi cardine del diritto del lavoro: la proporzionalità della sanzione e la tempestività della contestazione.
La decisione della Cassazione: un doppio binario
Il caso analizzato dalla Suprema Corte riguardava un dipendente bancario sanzionato con sei giorni di sospensione sulla base di sei diverse contestazioni. La particolarità è che, in sede di giudizio, la Corte d'Appello aveva ritenuto fondato solo uno dei sei addebiti, confermando però l'intera sanzione. Il ricorso del lavoratore si basava su più motivi, portando la Cassazione a chiarire due punti distinti ma connessi.
1. Il principio di proporzionalità
Il cuore della decisione riguarda la legittimità di una sanzione "complessa" quando il quadro accusatorio si riduce. La Cassazione ha stabilito che una sanzione disciplinare può essere pienamente valida anche se solo uno dei molteplici addebiti viene provato, a una condizione essenziale: che quel singolo addebito sia di per sé abbastanza grave da giustificare l'intera sanzione applicata. Il giudice, quindi, non si sostituisce all'imprenditore, ma valuta se la sanzione decisa dall'azienda resta proporzionata rispetto all'unica infrazione accertata.
2. Il principio di tempestività
Il lavoratore aveva contestato anche la presunta tardività della contestazione disciplinare, un aspetto procedurale cruciale. La Corte ha colto l'occasione per ribadire che il principio di "immediatezza" della contestazione è relativo. Non esiste un tempo massimo fisso, ma occorre valutare caso per caso, tenendo conto della complessità delle indagini necessarie per accertare i fatti. Nel caso specifico, il tempo trascorso tra l'ultimo episodio contestato (giugno 2020) e la lettera di addebito (settembre 2020) è stato giudicato ragionevole, in quanto non ha compromesso il diritto del lavoratore a difendersi.
Uno sguardo ai numeri: le statistiche del contenzioso
Questi principi si inseriscono in un contesto processuale dove i numeri raccontano una storia chiara. Analizzando due diverse casistiche di licenziamento disciplinare, emerge una tendenza incredibilmente costante.
1. Assenza ingiustificata e abbandono del posto di lavoro: su 620 sentenze, il datore di lavoro vince nel 45% dei casi e perde nel 34%.
2. Violazione degli obblighi nei confronti del datore di lavoro: su 116 sentenze, il datore di lavoro vince nel 51% dei casi e perde nel 26%.
Il dato strategico, e quasi identico in entrambi i campioni, riguarda però la fase del giudizio:
- Quando il datore di lavoro è "ricorrente", la sua probabilità di vittoria crolla drasticamente: 8% nel primo caso e un quasi nullo 2% nel secondo.
- Quando il datore di lavoro è "resistente", le probabilità di successo sono altissime: 70% nel primo caso e 79% nel secondo.
Queste cifre dimostrano in modo inequivocabile che la cura della fase iniziale del procedimento e l'esito del primo grado di giudizio sono quasi sempre decisivi.
La mia prospettiva: un equilibrio tra rigore e strategia
L'analisi della sentenza e dei dati statistici porta a una conclusione chiara. Per l'azienda, è fondamentale un approccio a 360 gradi. Sul piano della sostanza, ogni addebito deve essere solido e la sanzione deve essere pensata per essere proporzionata anche se solo una parte delle contestazioni dovesse "reggere" in tribunale. Sul piano della forma, rispettare la tempistica e ogni altro requisito procedurale non è un dettaglio, ma una condizione essenziale per non vedere vanificato il proprio potere disciplinare.
Per il lavoratore, la strategia difensiva deve essere altrettanto completa. È cruciale non solo contestare il merito degli addebiti, ma anche analizzare attentamente ogni possibile vizio di forma, come la tardività della contestazione, sollevando ogni eccezione nei tempi e nei modi corretti.
In sintesi, vincere una causa di lavoro non è quasi mai frutto di un singolo colpo di genio, ma il risultato di una strategia attenta che presidia sia il merito dei fatti sia il rigore della procedura.
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