Il ricorso al lavoro in somministrazione (o "interinale") è una pratica comune per molte aziende che cercano flessibilità operativa. Tuttavia, questa flessibilità non è priva di limiti. Il Decreto-Legge 87/2018 (il "Decreto Dignità") ha introdotto un tetto massimo di 24 mesi per la durata dei contratti a tempo determinato. Ma cosa accade se questo limite viene superato nel caso di un lavoratore in somministrazione?
Una recente e importantissima sentenza della Corte Suprema di Cassazione, Sezione Lavoro (n. 29577/2025, pubblicata il 07/11/2025), ha fornito una risposta netta che ogni azienda, HR manager, consulente del lavoro e lavoratore deve conoscere.
In sintesi: il superamento dei 24 mesi di missione presso la stessa azienda utilizzatrice fa scattare la nullità dei contratti e dà al lavoratore il diritto di chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato direttamente con l'azienda utilizzatrice.
Vediamo i dettagli.
Il caso: 37 mesi di missione presso la stessa azienda
La vicenda esaminata dalla Cassazione riguarda un lavoratore impiegato presso la stessa azienda utilizzatrice dal 2015 al 2019, per un totale di 37 mesi e due giorni , attraverso ben 47 contratti di somministrazione a termine e relative proroghe.
L'azienda si è difesa sostenendo, tra le altre cose, che:
Il limite dei 24 mesi introdotto nel 2018 non si applicasse ai contratti di somministrazione in quel momento.
In ogni caso, la sanzione per il superamento del limite dovrebbe essere la trasformazione del contratto a tempo indeterminato con l' agenzia di somministrazione, non con l'azienda utilizzatrice.
I contratti precedenti al periodo impugnato non dovessero essere contati, poiché il lavoratore era decaduto dal diritto di impugnarli.
La Corte di Cassazione ha rigettato tutte le tesi dell'azienda , confermando la decisione della Corte d'Appello di Brescia che aveva dichiarato costituito un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra il lavoratore e l'azienda utilizzatrice.
La decisione della Cassazione: perché l'azienda utilizzatrice rischia
Il punto centrale della sentenza è la sanzione prevista per la violazione del limite di durata. La Corte ha chiarito diversi principi fondamentali:
1. Il limite dei 24 mesi si applica all'utilizzatore La Corte ha stabilito che il limite massimo di 24 mesi si applica non solo al rapporto tra agenzia e lavoratore, ma anche e soprattutto alla durata massima dell'impiego dello stesso lavoratore in missione presso la medesima impresa utilizzatrice per lo svolgimento delle medesime mansioni.
2. Non è rilevante la "decadenza" dai vecchi contratti L'azienda sosteneva che, essendo il lavoratore decaduto dall'impugnazione dei primi contratti, questi non potessero essere usati per calcolare il totale dei 24 mesi. La Cassazione ha respinto questo argomento , affermando che i contratti precedenti, anche se non più impugnabili, possono essere considerati come "fatti storici" per determinare l'illegittimità del superamento del limite.
3. La sanzione è la nullità e l'assunzione in azienda Questo è il cuore della decisione. La Corte non ritiene che la sanzione sia un (debole) legame a tempo indeterminato con l'agenzia. Al contrario, il superamento del limite legale configura una "somministrazione irregolare".
Questa irregolarità provoca la nullità dell'intero rapporto trilatero (agenzia-lavoratore-utilizzatore).
Quando i contratti sono nulli, riemerge il principio fondamentale del diritto del lavoro: il vero datore di lavoro è colui che di fatto utilizza la prestazione (l'utilizzatore).
Di conseguenza, la nullità si "converte" e il lavoratore ha il diritto di chiedere (e ottenere) la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato direttamente alle dipendenze dell'utilizzatore.
La Corte sottolinea che questa interpretazione è l'unica conforme alla direttiva europea (2008/104/CE), che mira a garantire la temporaneità del lavoro interinale e a non creare forme di precariato a vita.
Implicazioni pratiche: cosa cambia per aziende, HR e lavoratori
Questa sentenza non è un tecnicismo, ma un avvertimento operativo con conseguenze economiche e organizzative immediate.
Per le aziende, PMI e uffici HR:
Audit immediato: È fondamentale mappare la durata totale delle missioni di ciascun lavoratore somministrato attualmente in forza.
Il rischio è l'assunzione: Il rischio non è una multa. Il rischio è l'obbligo di assumere a tempo indeterminato un lavoratore che si pensava fosse solo "di passaggio", con tutti i costi e gli oneri connessi.
Nessuna scappatoia: Non si può aggirare il limite usando "causali sostitutive" (la Corte ha ritenuto il limite applicabile a prescindere dalla causale ) o pensando che la decadenza dall'impugnazione dei vecchi contratti metta al sicuro.
Tracciamento rigoroso: Il "contatore" dei 24 mesi è un elemento di compliance cruciale. Superarlo significa esporsi a un contenzioso quasi certamente perdente.
Per i lavoratori:
Conoscete i vostri diritti: Se lavorate da più di 24 mesi presso la stessa azienda (svolgendo mansioni simili), anche se assunti da un'agenzia, potreste avere diritto a un contratto a tempo indeterminato con l'azienda utilizzatrice.
Conservate la documentazione: È essenziale conservare tutti i contratti, le proroghe e le buste paga che attestino la durata e la continuità del vostro impiego presso l'utilizzatore.
Per i consulenti del lavoro:
Compliance e prevenzione: Diventa prioritario informare i clienti sui rischi di un utilizzo "disinvolto" della somministrazione.
Verifica proattiva: Proponete ai vostri clienti un'analisi dei loro contratti di somministrazione per identificare situazioni a rischio prima che si trasformino in vertenze.
La linea tra l'uso flessibile della manodopera e un'assunzione a tempo indeterminato inaspettata è più sottile di quanto si pensi. Questa sentenza della Cassazione lo ha reso chiarissimo.
Se sei un'azienda che necessita di verificare la propria compliance sui contratti di somministrazione, o un lavoratore che ritiene di aver superato i limiti di legge, il mio studio è a disposizione per analizzare la tua situazione specifica.
